23 October 2008

Cittadini non si nasce, si diventa

Cari lettori,
ecco il primo articolo in italiano! Come si diventa cittadini? Lo si è dalla nascita, lo si diventa automaticamente quando si fa la carta d'identità, lo si impara? Chi ce lo insegna? Cittadini non si nasce, si diventa: questo è il titolo di un articolo sul sito del giornale 'La Stampa' scritto da Michael Walzer, filosofo della politica americano, in cui lui parla dei tre principali requisiti da inserire nel curriculum di tutte le scuole in ogni paese affinché gli studenti possano diventare buoni cittadini in un stato democratico.



Michael Walzer, filosofo della politica americano, inaugura oggi a Asti il Master in Civic Education con la Lezione magistrale «Sull’educazione del cittadino» di cui pubblichiamo un’ampia sintesi. Frutto della collaborazione tra il James Madison Program dell’Università di Princeton e Ethica, il Master è diretto da Maurizio Viroli. Ha lo scopo di diffondere la coscienza civica, la cui nozione, in Italia e in Europa, sembra agli organizzatori assai critica. Il Master intende anche promuovere la conoscenza dei valori e della cultura americani.

Immaginate un paese moderno, come il mio e come il vostro, che sia diviso in materia culturale, religiosa, ideologica ed economica. Che tipo di educazione civica dovrebbero fornire le scuole statali e le università di questo paese? Voglio concentrarmi qui solo su questioni concernenti l’educazione politica. Che cosa devono sapere gli studenti che voteranno alle «nostre» elezioni, dove il riferimento del pronome è semplicemente l’insieme dei cittadini adulti?

Ci sono, credo, tre requisiti curriculari di importanza critica, che valgono tanto per le scuole pubbliche quanto per quelle religiose.

Il primo requisito probabilmente può essere meglio soddisfatto al livello delle scuole superiori, perché implica qualcosa di simile a quanto si usava chiamare «educazione civica». Gli studenti hanno bisogno di imparare una scienza politica pratica della democrazia; hanno bisogno di un corso dove si studino il funzionamento quotidiano dei ministeri di governo, delle assemblee rappresentative, delle corti, dei partiti, dei movimenti sociali e così via. Questa è la parte meno controversa dell’educazione democratica. Ciò nonostante, v’è un importante lavoro educativo da fare qui: insegnare agli studenti a pensare se stessi come futuri partecipanti nell’attività politica, non meramente come spettatori bene informati. E siccome lo spettacolo è spesso tutt’altro che edificante e invitante, gli insegnanti devono evidenziare come il sistema democratico non sia mai chiuso, il suo carattere non sia mai deciso una volta per tutte. Nonostante tutte le rigidezze burocratiche, ci sono sempre delle opportunità per persone con idee nuove o diverse. Gli studenti dovrebbero essere incoraggiati a sperimentare le dottrine politiche, e si dovrebbe insegnare loro come discuterle davanti ai loro pari e all’interno di specifici ambiti istituzionali.

Secondo, gli studenti hanno bisogno di studiare la storia delle istituzioni e delle pratiche democratiche dall’antica Grecia in avanti, e parallelamente devono imparare e misurarsi con la preferenza di vari gruppi religiosi per forme di governo non democratiche. Forse insegnanti in scuole con molti studenti cattolici, ebrei o musulmani cercheranno modi per naturalizzare la democrazia all’interno di tradizioni che sono state nei fatti ostili ad essa, ma io sarei per favorire un confronto onesto con le forme di governo - di re o preti o saggi religiosi - preferite dalla religione. Dopo tutto, la democrazia è una cultura della critica e del dissenso. Ci sono vari modi per aiutare gli studenti a sentirsi a casa propria in una società democratica, e la pretesa che tutti ci abbiamo da sempre vissuto non è necessariamente la migliore. Certamente non è il modo più onesto, e i giovani generalmente riconoscono e rifuggono la disonestà. Ciò detto, non penso che sia sbagliato raccontare la storia cattolica, ebrea o musulmana in una versione che metta in rilievo i possibili punti di accesso ad un’intesa democratica. Ma si deve anche raccontare la storia greca e soffermarsi sui momenti genuinamente formativi nella storia della democrazia.

Il terzo requisito è a mio parere il più importante: un corso sulla filosofia o la teoria politica della forma di governo democratica, dove si rivedano criticamente tutti gli argomenti standard. Ciò ovviamente dovrebbe includere discussioni sugli ordinamenti costituzionali, ma il fulcro dovrebbe essere sulle pratiche e le attitudini che costituiscono una cultura politica democratica: l’eguaglianza dei cittadini (così degli uomini come delle donne), la loro libertà di parola e associazione, il diritto all’opposizione, la tolleranza per il dissenso, l’esigenza (alle volte) di compromessi, uno scetticismo rispetto all’autorità e così di seguito. Queste, naturalmente, sono le pratiche e le attitudini in una democrazia liberale, ma in questo caso l’aggettivo non qualifica bensì semplicemente rinforza il sostantivo; dubito che una democrazia illiberale possa mantenere a lungo l’eguaglianza, l’inclusione, e il diritto all’opposizione che sono caratteristiche necessarie della politica democratica. Il modo migliore di insegnare queste pratiche e attitudini è esemplificarle in classe: così, i testi teorici nei quali la democrazia è stata spiegata e difesa (o criticata) dovrebbero essere studiati democraticamente, con una discussione libera, una ricerca aperta a qualsiasi interpretazione, un’idea del carattere sempre incompiuto del progetto democratico. Gli argomenti non dovrebbero mai essere ridotti ad un catechismo, in special modo non ai fini dell’esame finale.

Sebbene le nostre scuole e università pubbliche non possano insegnare teologia cristiana (tranne che, diciamo, in un corso sulla filosofia della religione), esse possono insegnare teoria democratica liberale. Costituzionalmente si tratta di un’attività permessa. Ma a me sembra un’attività politicamente e moralmente necessaria, perché gli studenti stanno per diventare cittadini attivi, e presto prenderanno decisioni di importanza capitale che determineranno la qualità, e forse anche la sicurezza fisica, della nostra vita comune. L’educazione di ciascun giovane incide su ogni altro giovane. Stante il processo decisionale democratico, i figli di genitori religiosi, i figli di politici settari, contribuiranno a decidere il destino dei miei figli e dei vostri. Non ci sono esenzioni possibili, a meno che una comunità religiosa non opti per sottrarsi del tutto dalla condizione di cittadinanza e adotti lo status di stranieri residenti. Forse dovremmo permetterlo, ma non vedo ragione per permettere a futuri cittadini di evitare o sfuggire un’educazione alla cittadinanza. La posta in gioco è troppo alta.

Pensate alla cittadinanza come a un incarico politico: senza dubbio, i futuri incaricati dovrebbero imparare qualcosa sulle responsabilità che l’incarico comporta. O meglio, coloro che occupano l’incarico adesso dovrebbero insegnare alla generazione successiva ciò che credono di aver imparato a proposito di quelle responsabilità. Questo perché la riproduzione di una politica democratica non è mai cosa certa. Dobbiamo dimostrare ai nostri ragazzi che veramente crediamo nei valori che rendono possibile la democrazia. Ciò significa innanzitutto che dobbiamo vivere alla luce di quei valori; significa altresì che non dovremmo avere paura di insistere sul loro studio. Per ragioni molto sensate, la cittadinanza, diversamente dalla professione medica o legale, non richiede una licenza; gli studenti non necessitano di una promozione in politica democratica. Ma certamente dovrebbero seguire il corso.


Tratto da:
Cittadini non si nasce, si diventa di Michael Walzer su La Stampa, 23 Ottobre 2008

21 October 2008

The story of stuff

Dear readers,
I'd like to recommend a website: The story of stuff. Here you can listen to a presentation about material economy: how we produce stuff, where it comes from, how we deal with it and where it goes after we throw it away. It's very interesting because it reveals what really happens along the way. The speaker, Annie Leonard, goes through the main stages: extraction, production, distribution, consumption and disposal. From one phase to the other, she adds all the information that we need to have, all the things that nobody talks about, she adds the truth. Here are some facts that she mentions in the presentation:

• In the past three decades, one-third of the planet’s natural resources base have been consumed.
• In the United States, we have less than 4% of our original forests left.
• Forty percent of waterways in the US have become undrinkable.
• The U.S.has 5% of the world’s population but consumes 30% of the world’s resources and creates 30% of the world’s waste.
• If everybody consumed at U.S. rates, we would need 3 to 5 planets.
• There are over 100,000 synthetic chemicals in commerce today.
• Only a handful of synthetic chemicals have even been tested for human health impacts and NONE have been tested for synergistic health impacts.
• In the U.S., industry admits to releasing over 4 billion pounds of toxic chemicals a year.
• The average U.S. person now consumes twice as much as they did 50 years ago.
• We each see more advertisements in one year than a people 50 years ago saw in a lifetime.
• In the U.S. our national happiness peaked sometime in the 1950s.
• In the U.S., we spend 3–4 times as many hours shopping as our counterparts in Europe do.
• Average U.S. house size has doubled since the 1970s.
• Each person in the United States makes 4 1/2 pounds of garbage a day. That is twice what we each made thirty years ago.
• For every one garbage can of waste you put out on the curb, 70 garbage cans of waste were made upstream to make the junk in that one garbage can you put out on the curb.

Go and watch the presentation and use this information to improve your life and the world around you. Pass the word.

11 October 2008

Kann man die Sprache einfach so ändern?

Hallo zusammen,
hier ist mein erster Eintrag auf Deutsch! Ich frage mich: kann man wirklich die Sprache einfach ändern? Die Deutschen haben es schon zweimal gemacht. Ihr denkt: WAS?! Blödsinn. Doch: Mit zwei Rechtschreibungreformen. Und jetzt will ein Professor noch etwas in der Sprache ändern: er will Deutsche anders zählen lassen. Ein Beispiel: 21 = twenty-one. Auf Deutsch: einundzwanzig. Nee. Für diesen Professor soll es "zwanzigeins" ausgesprochen werden. Lesen wir mal...


Das Problem kennt jeder: Man tippt die sechsstellige Nummer ins Telefon, doch statt Tante Erna meldet sich am anderen Ende eine wildfremde Stimme. „Oh, falsch verbunden“, murmelt man, doch das Display zeigt, dass nicht das längst ausgestorbene Fräulein vom Amt Schuld ist sondern wieder mal ein Zahlendreher. Die leisten sich die Bundesbürger auch im modernen Zahlungsverkehr mit bundesweit allein sieben Milliarden Banküberweisungen im Jahr sehr viel häufiger als viele andere Völker. Der Grund: Die Deutschen sprechen im Computerzeitalter mehrstellige Zahlen noch immer so verdreht aus wie ihre Altvordern, die mit Kerbhölzern rechneten. Das will der Verein „Zwanzigeins“ ändern – und kämpft um Aufklärung.
„Das Problem, warum wir 'einundzwanzig' sagen, aber 'zwanzigeins' schreiben, ist 500 Jahre alt“, sagt der Vereinsvorsitzende und Bochumer Mathematikprofessor Lothar Gerritzen. Damals, im Jahr 1482, wurden die arabischen Ziffern erstmals in die deutsche Schriftsprache aufgenommen, und es wurde zudem empfohlen, sie von links nach rechts auszusprechen, wie im Arabischen oder Lateinischen auch: Etwa die Zahl 21 als „zwentzigeins“, heißt es im ersten deutschen „Rechenbuch“ von Jakob Köbel.
Dass Köbel sich jedoch nicht durchsetzte, lag auch an Martin Luther, der, dem Volk aufs Maul schauend, in seiner Bibelübersetzung bei der üblichen deutschen Sprechweise blieb. Die war wiederum vor 4000 Jahren entstanden: Mangels Ziffern ritzten die Indogermanen damals Zeichen in ein Kerbholz: Immer zunächst die Einerzahl – ein Strich für eine Eins, zwei Striche für eine Zwei und so weiter – und dann erst die Zehner – jeweils ein X als Symbol gekreuzter Hände für eine Zehn. Das Zeichen IXX wurde deshalb als einundzwanzig gelesen.
In den vergangenen 500 Jahren haben zwar immer wieder Schriftsteller und Mathematiker auf das Problem der verdrehten Zahlenaussprache hingewiesen. Doch sie scheiterten allesamt an einer Obrigkeit die, wie auch im Fall von Gerritzens Verein, auf Änderungswünsche eher unwirsch reagiert. So wie das hessische Kultusministerium in einen Antwortschreiben an ein Vereinsmitglied: „Sehr geehrter Herr... Ich glaube nicht, dass es sinnvoll ist, die Benennung von Zahlen in der deutschen (oder einer anderen) Sprache mit den Kategorien der Logik zu messen. Die Zahl 15 heißt im Deutschen nun einmal 'fünfzehn' und nicht 'zehnfünf'. Niemand kann dies beliebig ändern“.
Allerdings führte Norwegen wegen volkswirtschaftlicher Probleme mit der verdreht-germanischen Zahlensprechweise in Schulbüchern schon 1951 die logisch korrekte Sprechweise ein. Heute sind die Kerbholzzähler in ganz Skandinvien zumindest in der Geschäfts-, Bank- und Postsprache in der Minderheit. Hierzulande müssen sich dagegen mehr als fünf Millionen Legastheniker und Dyskalkuliker sowie unzählige Schüler ohne besondere Lese- und Rechenschwäche damit quälen, dass sie beim Hören der Zahl 84356 von der zweiten Ziffer zur ersten springen müssen, dann zur dritten, zur fünften, um mit der vierten zu enden. „Dass das überhaupt funktioniert, ist verblüffend“, sagt Mathematik-Professor Gerritzen.
Leicht fällt das vielen Schülern nicht. Josef Kraus, Vorsitzender des Deutschen Lehrerverbands, weiß zu berichten, dass selbst Abiturienten beim Hören einer dreistelligen Zahl erst links den Hunderterwert schreiben, dann eine Lücke lassen, um rechts den Einer zu notiern und danach die Lücke mit dem Zehnerwert füllen. Vor allem türkischstämmige Schüler, die in ihrer Muttersprache „richtig“ zählen, haben Probleme mit der verkehrten deutschen Zahlenwelt.
Karlsruhe Dort, bei Schülern und Lehrern, trifft Gerritzen, der nun das Buch „zwanzigeins“ herausgegeben hat, auch am ehesten auf offene Ohren. Die Wald-Schule in Bochum hat nach seinen Angaben die unverdrehte Sprechweise inzwischen in den Unterricht eingeführt. Und zu einem unlängst von Gerritzen gehaltenen Vortrag seien mehr als 500 Lehrer und Schüler geströmt. „Es wird aber noch mindestens 25 Jahre dauern, bis sich was ändert“ befürchtet Gerritzen. Dann wäre der Mathematiker neunzigzwei Jahre alt.

Quelle:
Mathematik: Professor will Deutsche anders zählen lassen von Jürgen Oeder für Welt Online, 6. Oktober 2008

09 October 2008

Laptops instead of text books at school

Dear readers,
here is some interesting news. Honestly, I'm very suprised to see that it comes from Italy. A primary school in Turin has decided to use computers instead of books for its pupils for a year.

Pupils at a school in Italy are replacing all their text books with computers for a year - in what is being described as a unique experiment. More than 60 children - aged between eight and 10 - at Turin's Don Milani school will be using mini laptops with the full curriculum. Their access to the internet will be controlled by special software. The experiment, which is backed by parents, aims to test how a computer alone can improve the learning process.

Until Wednesday, the Don Milani di Rivoli elementary school was like any other in Italy. Children turned up, got out their books and pens and began the process of learning. But now, 60 fifth grade pupils and a number of third graders will start using computers only.
The mini laptops, which run Windows software, weigh less than a kilogram, can be dropped from a height of one-and-a-half metres and are waterproof. Instead of spending the equivalent of $700 (£400) a year on books, the laptops, built by the Italian company Olidata, cost less than $400 (£228).

Source:
Italy pupils ditch books for PCs by Duncan Kennedy for BBC News, Wednesday 8th October 2008